Gaza di Federica Fracassi

«Di ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Lo diceva il filosofo Ludwig Wittgenstein non limitandosi a suggerirci di tacere quando siamo ignoranti (e già di per sé sarebbe un buon consiglio), ma evidenziando un limite del linguaggio, limite oltre il quale c’è solo il silenzio come contesto possibile. Di Gaza in fondo, come direbbe Wittgenstein, non possiamo parlare. E quindi dovremmo tacere. Per ignoranza e per limite, come non possiamo precisamente parlare del dolore di un altro da noi stessi. Gaza è un corpo vivo che quotidianamente viene ferito, amputato, che rantola, che urla e noi pieni di buone intenzioni facciamo comizi, ci profondiamo in parole prive di efficacia. E scappiamo. Siamo terrorizzati da tutto questo dolore, siamo terrorizzati dai bambini senza arti, dalle famiglie cancellate, dalle case che non ci sono più. Gli abitanti di Gaza, mi chiedo ogni tanto, avranno ancora voglia di fare l’amore? Mai come in questo momento sento l’inutilità di tutte le nostre parole, anche quelle urlate con tutto lo sdegno umano più sacrosanto contro questo genocidio che avviene sotto i nostri occhi. Mai come oggi sento che siamo inadeguati, inascoltati. E forse allora è perché il linguaggio non ha parole per questo orrore. Ma anche e soprattutto perché non siamo più capaci di vere azioni collettive. Sarà un caso che si dibatta infinitamente sulla parola genocidio mentre avviene sotto i nostri occhi? Come se due medici dibattessero sulla parola infarto davanti a un paziente in arresto cardiaco. Sara’ un caso che le democrazie, quando restano tali, abbiano rappresentanze ormai vuote di senso e di forza trasformativa? Grandi riunioni linguistiche totalmente slegate dal corpo, dall’anima, dal destino di ciascun essere umano che in questo momento cade. Come potrei tenere per mano ogni bambino violato a Gaza? Io non sono credente, ma in questi giorni l’immagine più potente che mi visita ad ogni ora del giorno e della notte è quella di Cristo sulla croce. Lo scandalo della sofferenza di un corpo. Una sofferenza totalmente esposta, frontale, davanti alla quale non sappiamo sostare. La paura, il terrore di un mondo che ha abolito la cultura del corpo, la sua voce.

L’incapacità di consolare, di curare, di abbracciare. La douleur di Margherite Duras parlava meglio di me del Male descrivendo fino agli escrementi il destino di un uomo sopravvissuto alla Shoah. Mi chiedo come sia possibile che proprio chi ha sentito questi racconti dai propri nonni, dai propri genitori possa ignorare la merda di ogni corpo di Gaza e tollerare il governo “democratico” che persegue in alleanza con altre democrazie l’annientamento del popolo palestinese. Mi chiedo come sia possibile che noi cittadini di una democrazia siamo diventati così ininfluenti e manovrabili. Forse per le nostre nefandezze, per essere diventati merci tra le merci, per quest’epoca oscura ancora non ci sono ancora le parole. Anche sbagliando, è ovvio che sia meglio parlare che tacere. Parlare, denunciare ogni giorno, urlare. Ma sogno che mentre noi uomini e donne di empatia e di sentire continuiamo a denunciare , sogno che si trovi il modo giusto per insieme agire.

Federica Fracassi su Mentinfuga